Reso gratuito: due semplici parole che infondono una maggiore sicurezza e propensione all’acquisto di un qualsiasi articolo. Se non dovesse andare bene, si può restituire senza perdere i propri soldi. Uno stress in meno per i consumatori, così come viaggiare sulle compagnie low cost invitava tutti quelli che non hanno budget elevati a sconfinare per esplorare i Paesi vicini senza spendere troppo in viaggi aerei.
Ma se l’era dei viaggi aerei low cost sta per finire (a detta della stessa Ryanair, che ha praticamente dato l’addio a breve ai viaggi a 10 euro), anche quella del reso gratuito potrebbe presto volgere al termine.
Reso gratuito addio: ecco dove
È quello che avviene in Regno Unito, dove il gruppo spagnolo Inditex (che comprende anche Zara), richiede una tassa di 2 sterline per il reso effettuato presso i punti di raccolta dedicati o a domicilio. La stessa decisione l’ha presa il noto rivenditore di abbigliamento britannico Asos, così come un altro marchio di abbigliamento, il giapponese Uniqlo.
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Questa politica di applicare una tariffa fissa sui resi non è ancora arrivata in Italia e navigando tra le pagine riservate alle politiche di reso dei vari siti ufficiali aziendali, le dinamiche per restituire la merce che non va bene sono sempre le stesse.
Il costo economico e ambientale
Quello che sta accadendo oltre Manica, tuttavia, potrebbe presto avere ripercussioni altrove. Il reso ha un costo sia economico, sia ambientale. Il reso, ovviamente, è una perdita di tempo ed economica per le aziende: queste ultime, con la pandemia, hanno visto crescere notevolmente il traffico degli acquisti online.
Con il crescere degli acquisti online, però, sono aumentati anche i resi, molto più frequenti nel settore dell’abbigliamento, proprio perché online non si può provare un vestito. Il costo in termini ambientali, invece, deriva dal fatto che spesso la merce restituita va buttata, perché ormai non più utilizzabile o rivendibile.
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Reso gratuito = Acquisti facili
La fine del reso gratuito potrebbe portare a termine però una di quelle “malattie moderne” che attanagliano i consumatori oggi: lo shopping compulsivo.
Far pagare la possibilità di restituire gli articoli che non convincono, potrebbe far riflettere maggiormente i consumatori a un acquisto spensierato e senza troppa logica.