ETF sempre più popolari
Gli ETF hanno almeno tre vantaggi sui fondi comuni a gestione attiva (www.risparmioggi.it)

Il risparmio gestito è in piena trasformazione. Nell’arco di tempo di un decennio (da qui al 2035) gli investimenti passivi insidieranno quelli attivi a tal punto da determinare un rivoluzione nei rapporti di forza. Uno scenario estremo ma al tempo stesso prevedibile già oggi con la crescente popolarità degli ETF e la contestuale perdita di appeal dei fondi comuni attivi soprattutto tra gli investitori più giovani. Quelle che per ora sono semplicemente delle tendenze, nel prossimo decennio dovrebbero consolidarsi diventando realtà. Del tema si è occupato un pò di settimane fa Steve Johnson, il corrispondente ETF del Financial Times.

In un articolo titolato ETFs could seize half of current US mutual fund assets, says Citi, l’analista ha appunto ripreso un’analisi della banca d’affari Usa secondo la quale nel giro di un decennio ben metà delle somme che attualmente detenute dai fondi comuni di investimento americani “passeranno” agli ETF. Inevitabile sarà la trasformazione di tutto il comparto del risparmio gestito, perlomeno americano.

Onestamente una prospettiva che non stupisce visto che già adesso gli ETF sono preferiti ai fondi comuni nella composizione dei PAC. I motivi li abbiamo evidenziati tantissime volte su RisparmiOggi: i costi più bassi, la migliore efficienza fiscale e la più alta liquidità. In più ci sono anche i risultati: se mantenuti nel lungo termine gli ETF sono capaci di generare buoni rendimenti mentre i fondi comuni che pure nascono per battere il mercato, presentano performance decisamente più deludenti.

Come gli ETF si mangeranno i fondi comuni in un decennio

Stando ai dati dell’Investment Company Institute, in tutti e 10 gli ultimi anni sul mercato del risparmio gestito Usa gli afflussi sugli ETF sono costantemente cresciuti mentre in 9 anni su 10 i fondi attivi sono stati caratterizzati da deflussi. Unica categoria di fondi comuni di investimento che è riuscita a salvarsi è quella dei fondi monetari. Per il resto la tendenza ha interessato tutte le tipologie di gestione passiva.

Una dinamica di questo tipo potrebbe indurre a pensare che il superamento possa essere questione di pochi anni. In realtà, però la situazione è più complessa perchè è solo ultimamente che gli ETF stanno emergendo e solo grazie alle generazioni più giovani che sono molto a loro agio con l’investimento diretto, tramite i broker ETF, e quindi senza passaggio dalle banche. I fondi comuni attivi, però, dalla loro hanno una lunghissima storia alle spalle oltre che il vantaggio di essere stati per decenni uno dei prodotti più spinti agli sportelli bancari. La situazione di partenza è quindi diversa e questo lo si percepisce molto bene dai numeri snocciolati dall’ICI: nel 2023 sono stati 19,6 i trilioni di dollari impegnati in fondi attivi mentre il mercato degli ETF si è fermato a 8,1 trilioni di dollari.

Nonostante il cambio di trend emerso nell’ultimo anno, serviranno almeno 10 anni per poter assistere alla radicale trasformazione del risparmio gestito. In questo arco temporale gli analisti di Citi prevedono che tra 6 e i 10 trilioni di dollari ora presente nei fondi comuni di investimento possa passare agli ETF. In quel momento la rivoluzione sarà un dato di fatto.

I tipi di fondi comuni che più soffrono gli ETF

Sia il mondo dei fondi comuni che quello del risparmio gestito sono molto variegato. Non c’è da quindi da stupirsi se saranno soprattutto alcuni tipi di gestione attiva a soffrire. Secondo lo studio di Citi, a subire di più l’avanzata degli ETF saranno i fondi comuni di investimento che sono detenuti fuori dai conti pensionistici esentasse. Essi già adesso non sono in grado di resistere alla maggiore convenienza fiscale dei fondi a gestione passiva.

La tassazione degli ETF con il meccanismo delle plusvalenze che fanno cumulo non lascerà scampo ai fondi attivi di questo tipo. Anche in questo caso i numeri dicono tutto: tra il 50% e il 100 dei 2,4 trilioni di dollari detenuti in fondi comuni non esentasse potrebbero passare dritti dritti agli ETF.

Come oramai noto da tempo, la migliore efficienza fiscale degli ETF rispetto ai fondi comuni è destinata a fare la differenza.

Il fattore demografico

Nel report di Steve Johnson non manca poi chiaro riferimento alla questione anagrafica. Nella loro analisi gli analisi di Citi ammettono che le generazioni più giovani hanno una chiara preferenza per gli ETF rispetto ai fondi comuni che sono un tipo di investimento percepito più da boomer.

Citi non lo dice (e quindi l’articolo del FT non scende nel dettaglio) ma i motivi di questa preferenza sono oramai ampiamente noti:

  • la possibilità di comprare ETF anche con capitali limitati contrariamente a quello che avviene con i fondi attivi che invece hanno un alto costo
  • la presenza su molte piattaforme di ETF senza commissioni
  • la possibilità di gestione autonoma grazie a piattaforme fintech molto intuitive e semplici da usare
  • la possibilità di creare PAC su ETF
  • la scarsa fiducia verso le banche che erano e restano il principali canale distributivo dei fondi attivi
  • la consapevolezza che si andrà in pensione sempre più tardi e con importi sempre più bassi (e qui i fondi pensione sono insidiati dai PAC in ETF)

E così, come snocciolava un’analisi di mesi fa del broker XTB, i più giovani si avvicinano al mondo degli investimenti proprio partendo dagli ETF.

Torniamo all’analisi di Citi per tirare le somme. Secondo la banca americana ritiene che tra il 50 e il 60% dei 7,4 trilioni di dollari detenuti da investitori al dettaglio sui conti pensionistici possano passare agli ETF. Aggiungendo a questa percentuale anche una quota degli attuali 4,5 trilioni di dollari di rendite istituzionali e a tasso variabile, si arriva a quel range compreso tra 6 e 10 trilioni di dollari che citavamo in precedenza e che sancirebbe l’avvenuta cannibalizzazione degli ETF sui fondi a gestione attiva.

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